X.  Biologia

pp. 359-371


Nel 1913 fu chiesto a Freud di specificare, in un saggio più vasto quale interesse egli riteneva che la psicoanalisì potesse avere per i biologi. La sua risposta merita di essere esaminata. Egli dedicava particolare attenzione al contributo dato dalla psicoanalisi allo studio dello sviluppo sessuale dell'uomo, argomento di evidente importanza biologica. Considerando la sessualità, che nell'uomo sembra avere vita autonoma, nella sua relativa indipendenza dalla personalità, la confrontava con l'indipenaenza del plasma germinale immortale nei confronti del resto del soma. Notava inoltre come la sessualità umana non solo trascenda il semplice scopo della perpetuazione della specie, ma vada anche molto al di là dello stesso atto sessuale, e metteva in evidenza le difficoltà di correlare la distinzione biologica tra sesso maschile e femminile con qualsiasi altra distinzione corrispondente in psicologia. Infatti, non sembra esservi alcuna differenziazione nella natura dell'istinto nei due sessi : tutto quello che si può rilevare è una distinzione fra scopi attivi e passivi, sia nell'uno che nell'altro sesso. Da qui l'importanza data da Freud alla bisessualità nel genere umano. Egli si mostrava, invece, d'accordo sulla possibilità di identificare il contrasto da lui trovato fra l'Io e gli impulsi sessuali con la distinzione biologica fra istinti di autoconservazione e istinti di conservazione della specie.

Freud considerava la sua opera in gran parte fondata sul concetto di stimolo (Trieb) che, a suo dire, era intermedio fra psicologia e biologia, e faceva inoltre rilevare la natura genetica dei suoi lavori, che andava al passo con il progredire degli studi in campo biologico. Grande rilievo veniva da lui dato all'importante fenomeno della regressione, che trova molte analogie nella sfera somatica. Infine accennava al fatto che la legge biologica «l'ontogenesi ricapitola la filogenesi» potesse avere un parallelo nei processi psichici.

Lo storico è autorizzato a sottolineare che il contributo che Freud diede alla biologia è maggiore di quanto egli stesso abbia creduto. Innanzi tutto, ogni apporto alle conoscenze psicologiche si può considerare come un contributo alla biologia, dato che questo ramo della scienza implica lo studio di tutti gli aspetti della vita; in secondo luogo Freud contribuì in maniera rilevante anche allo studio della biologia vera e propria.

In questo campo il suo principale apporto fu dato agli studi sulla teoria generale dell'evoluzione. Fin dai suoi primi studi in campo neurologico Freud fu consapevole dell'influenza che il suo lavoro avrebbe avuto sulla teoria dell'evoluzione. Il primo lavoro che egli pubblicò, infatti, contribuì molto a definire le caratteristiche da cui prendeva vita una dibattuta controversia, cioè se il sistema nervoso degli animali superiori contenesse elementi qualitativamente diversi da quelli degli animali inferiori, o se qualsiasi differenza evidente fosse dovuta soltanto a diversità quantitative. Freud aveva dimostrato che le cellule del Reissner del midollo spinale del pesce Petro-myzon rappresentano le cellule dei gangli posteriori dei vertebrati superiori prima che, nel processo evolutivo, si distacchino dal midollo spinale. Questa brillante dimostrazione nel campo della ricerca biologica è stata raramente uguagliata da uno studioso di medicina. Del resto, altrettanto brillanti sono stati i suoi studi giovanili di anatomia umana.3 La sua intuizione della fondamentale teoria del neurone, riguardante la discontinuità delle fibrille neuroniche, e il suo lavoro comparato sull'origine dei nervi cranici e dei loro gangli (ulteriore sviluppo, questo, dei suoi studi sui gangli spinali) riguardano strettamente il problema dell'evoluzione. Perfino il suo metodo tecnico, consistente nell'indagare tali origini per mezzo di ricerche embriologiche, è di carattere genetico.

Nell'opera di Freud vi sono, del resto, altri aspetti che pongono in luce, più di quanto possano fare questi studi strettamente tecnici, i suoi legami con le teorie evoluzionistiche. Quando la dottrina dell'evoluzione, nella seconda metà del secolo XIX fu universalmente accettata nel mondo scientifico, essa provocò un naturale turbamento in coloro che, nel campo religioso, credevano alla superiorità dell'uomo nella natura ed alla creazione divina del genere umano, destinato alla vita dello spirito. Dai loro tentativi di assimilare queste nuove cognizioni nacque, dopo aspre controversie, un interessante compromesso. Ammettendo pure che, per qualche ragione imperscrutabile, Dio avesse stabilito di far apparire l'uomo dopo un complicato processo evolutivo durato alcune migliaia di milioni di anni, anziché crearlo in un giorno determinato, come fino allora si era creduto, tale processo doveva necessariamente esser vero solo per il corpo. Non si poteva negare, invece, il momento determinato in cui Dio vi aveva infuso attributi spirituali, e innanzi tutto l'anima, raggiungendo così il suo scopo fondamentale di distinguerlo dagli altri animali. Neppure il coraggioso tentativo fatto da Darwin con il suo libro L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali fu sufficiente a colmare queste lacune della teoria. Tuttavia Freud, il cui interesse principale era concentrato sullo sviluppo genetico, riuscì a dimostrare che molti di questi attributi spirituali, compreso lo stesso istinto religioso, erano passati attraverso uno stadio evolutivo più basso prima di raggiungere l'odierna altezza spirituale, e che la loro stessa esistenza poteva essere provata senza dover ricorrere ad un intervento soprannaturale. Freud fece derivare anche una caratteristica tipicamente umana come quella del senso dell'individualità, cioè l'Io, da un gruppo primordiale ed impersonale di impulsi cui dette il nome di Es. L'Io sarebbe un prodotto dell'influenza esercitata dal mondo esterno sull'Es. Così facendo, egli colmò la lacuna che ancora rimaneva nella dottrina dell'evoluzione umana, e rese superflua l'idea che, grazie all'intervento divino, fuomo potesse avere un rapporto particolare ed unico con Dio. È per questa ragione che ho chiamato Freud «il Darwin della psiche».

La morfologia comparata, alla quale Freud diede il contributo di cui abbiamo parlato sopra, è una branca importante, anzi essenziale della biologia. Altrettanto lo è la fisiologia, che studia le funzioni e l'uso degli organi su cui l'anatomia indaga. Benché Freud si fosse astenuto da questo studio durante il periodo in cui si era dedicato alle ricerche di laboratorio,4 i lavori da lui in seguito compiuti in campo psicologico riuscirono a compensare ampiamente la sua precedente omissione. Prima di Freud la psicologia accademica si era soffermata su ciò che poteva chiamarsi la morfologia della mente, studiandone le varie componenti ed i legami che tra esse intercorrono. Come ha fatto rilevare Brun : «È stato Freud che per primo ha messo in evidenza le cause effettive della condotta umana, assumendo come principale oggetto d'investigazione il comportamento istintuale. In tal modo egli fu il primo a creare una psicologia biologica. Con Freud i termini funzionali, come motivo, fine, scopo, intenzione, significato, sono divenuti parte integrale della psicologia. Egli introdusse concetti dinamici ed economici che sono in sostanza essenzialmente biologici.»

Lo studio, e spesso le scoperte, che costituiscono il nucleo del contributo freudiano alla psicologia, dimostrano che particolari meccanismi psichici, come lo spostamento, la regressione, il transfert, e così via, trovano il loro corrispettivo in molti aspetti del comportamento animale, perfino in animali così lontani dall'uomo come gl'insetti. Brunn pose in evidenza per primo questa scoperta, che fu poi ampiamente confermata da altri biologi. Quindi Freud, con i suoi studi essenzialmente psicologici, aveva dato un validissimo contributo alle leggi biologiche.

Molto più difficile è stabilire quale valore abbiano avuto per la biologia le conclusioni freudiane sulla natura degli istinti. Di notevole valore, sotto molti aspetti, è risultata la distinzione che egli fece fin dal 1905 fra la fonte di un istinto ed il fine di esso. Dieci anni più tardi egli scrisse un importante saggio intitolato Gli istinti e le loro vicissitudini ma già in precedenza aveva avanzato l'ipotesi che ciò che distingue i vari istinti l'uno dall'altro, e che li caratterizza, fossero i rapporti che essi hanno con la loro sorgente somatica e con il loro fine. «La sorgente di un istinto è un processo di eccitamento che si produce in un organo, ed il fine immediato dell'istinto consiste nell'eliminare tale stimolo organico.» L'istinto era definito da Freud come «il corrispettivo psichico del continuo flusso endosomatico di una sorgente di stimoli, in contrapposizione con lo stimolo [Reiz], che consiste in singoli impulsi provenienti dall'esterno».

Freud mise in rapporto il decrescere delle stimolazioni dell'istinto con il «principio di stabilità» di Fechner, secondo il quale la riduzione della tensione al minimo è una tendenza fondamentale della mente. Nel 1920 egli portò questa sua concezione ad un punto estremo postulando un «istinto di morte» quale abolizione di ogni tensione vitale. Come abbiamo visto, tuttavia, non è stato possibile trovare alcuna conferma nella scienza biologica di questa sua ultima conclusione.

La parte più cospicua dell'opera di Freud è quella che si riferisce alle varie conseguenze dei conflitti che si verificano tra istinti differenti. Egli ha descritto rutto ciò con ricchezza di particolari : formazione di compromesso, formazioni reattive, inibizione dello scopo, spostamento (inclusa la sublimazione), ritorno di un istinto su se stesso in luogo della estrinsecazione nel mondo esterno, trasformazione nell'opposto, e così via. Molti di questi meccanismi hanno avuto conferma attraverso lavori biologici speri mentali, sebbene Freud non abbia mai preso in considerazione gli studi condotti in questo campo. La sua conclusione che un impulso inibito, conservi la sua energia, concorda con l'osservazione di Sherrington che lo stesso principio vale per i riflessi più semplici. Nei cani spinali, per esempio, l'impulso a grattarsi (che è essenzialmente di natura sessuale) viene eliminato con l'aggiunta di uno stimolo doloroso, ma ritorna a farsi sentire quando quest'ultimo cessa : è quello che Sherrington definì «after dischar-ge».vi Freud si chiese quali istinti prevalgano in tale caso in simili conflitti, e concluse che gli istinti sociali prevalgono, a meno che quelli primari (istinto sessuale e di autoconservazione) non esigano una soddisfazione più immediata. Esattamente lo stesso risulta dagli esperimenti biologici. I biologi, che usano il termine «collisione» per definire ciò che in psicologia viene chiamato «conflitto», hanno ricavato una legge secondo la quale gli istinti acquisiti più di recente prevalgono quando entrano in collisione con quelli primordiali, a meno che la situazione non sia particolarmente critica. Innumerevoli osservazioni di grande valore sono state raccolte nel campo della storia naturale sulle diverse forme di comportamento istintivo, e sia i biologi che gli psicologi (soprattutto McDougall) le hanno elencate in vere e proprie liste (istinto materno, istinto della caccia, e così via). Freud non ha mai dedotto da queste osservazioni analogie, illustrazioni o paralleli per la sua opera clinica: la sola eccezione che io ricordi è un'allusione all'abitudine delle anguille e degli uccelli di riprodursi nel loro ambiente originario. Questa omissione potrebbe essere spiegata in due modi. Il primo consiste nella determinazione, quasi ossessiva di Freud, di limitarsi solamente a due gruppi di istinti, i quali, anche se talvolta differivano per qualità, erano però invariabilmente due. Inoltre Freud in questo sentirsi estraneo al mondo animale seguiva le tradizioni ancestrali, atteggiamento che è illustrato dal detto : «Se un Ebreo dice di divertirsi alla caccia alla volpe, dice una bugia.» Fu soltanto verso la fine della sua vita che egli cominciò a parlare al proprio cane, ma è anche vero che da quel momento stabilì con esso uno stretto rapporto di^tipo umano. Sulla scorta delle sue osservazioni Freud era fermamente convinto che negli animali superiori vi fosse una distinzione fra Io ed Es, proprio come nell'uomo, ed avanzò addirittura l'ipotesi dell'esistenza di un super-Io in quegli animali che rimangono a lungo inetti nel primo periodo di vita. Sembra che egli non abbia mai avuto grande interesse per gli aspetti zoologici della storia naturale, preferendo quelli botanici, eppure avrebbe senza dubbio potuto trovare molte prove a sostegno delle sue convinzioni sulla natura essenzialmente conservatrice degli istinti. Sarebbe, inoltre, stato utile indagare nel campo della storia naturale per confermare, o forse confutare, le sue più discutibili conclusioni sulla tendenza degli istinti a restaurare le condizioni preesistenti. Brun ha ammirevolmente colmato questa lacuna con i suoi innumerevoli contributi.14 Freud si sarebbe particolarmente compiaciuto per la conclusione di Brun che gli istinti, riducendo l'eccitazione, agiscono come regolatori secondo il principio di stabilità di Fechner, principio cui annetteva un grandissimo valore.

La classificazione degli istinti alla quale infine pervenne Freud, è quella ancora oggi sostanzialmente accettata dagli psicoanalisti : da una parte gli istinti sessuali, dall'altra gli istinti aggressivi (questi ultimi derivati dall'ipotetico istinto di morte). È ancora controverso, invece, se gli istinti aggressivi siano primari, nel senso che agiscano spontaneamente, o secondari, cioè reattivi a situazioni sfavorevoli. Brunswick ha recentemente richiamato l'attenzione sugli aspetti difensivi degli impulsi aggressivi, lato del problema che era stato in parte trascurato. Freud rimase sempre in dubbio sui legami fra amore e odio. Nelle sue discussioni più approfondite su questo oscuro problema osservò che se si dimostrasse la convertibilità dell'uno nell'altro, saremmo ricondotti alla concezione monistica di una energia mentale primaria ed indifferenziata. Tale concezione era per lui un anatema, ed infatti egli cercò ingegnosamente di evitare questa spinosa questione usando il concetto di libido desessualizzata in luogo di quello di energia indifferenziata.

Di una sola cosa Freud era perfettamente sicuro in materia : non vi erano pròve che qualche istinto spingesse l'uomo verso le finalità morali, etiche o spirituali più elevate, ed anzi definì questa idea una «caritatevole illusione». «L'attuale sviluppo degli esseri umani non richiede, a mio avviso, una spiegazione diversa da quella che si potrebbe dare per gli animali. Ciò che in una minoranza di individui appare come un continuo impulso verso una maggiore perfezione, può essere facilmente spiegato come risultato della repressione istintuale, sulla quale si basano gli elementi più preziosi della civiltà umana.»

Ereditarietà

Prima che i precisi studi di Mendel fondassero la genetica scientifica agli inizi del secolo, il problema dell'ereditarietà era circondato da supposizioni nebulose, soprattutto in campo medico e psichiatrico. In gioventù, per- esempio, Freud aveva affermato che la sifilide di uno dei genitori, e specialmente del padre, si faceva risentire sui figli predisponendoli alla nevrosi e, per quanto io ne sappia, non abbandonò mai questa sua idea. In campo etiologico, egli considerò sempre l'eredità come uno degli elementi più importanti, e la definì «predisposizione congenita» pur rendendosi conto della difficoltà di precisarla più esattamente. L'unico tentativo di specificarla meglio fu quello di ricorrere al termine «costituzione sessuale». Tale idea suggerisce la possibilità di variazioni congenite della relativa sensibilità delle diverse zone erogene, ma Freud non approfondì la questione. Anche la sua osservazione che ai sintomi isterici di una donna corrispondono spesso sintomi di perversione nel fratello (quest'ultimo aspetto sarebbe la manifestazione positiva della manifestazione negativa isterica) meriterebbe di essere maggiormente approfondita.

Pur esprimendosi con molte riserve Freud ammise la possibilità che particolari processi mentali fossero ereditari. In una discussione tenutasi nel 1911 presso la Società Psicoanalitica di Vienna, egli affermò che «Così come la possibilità dell'esistenza di un contenuto mnemonico acquisito (scuola di Zurigo) durante il processo filogenetico potrebbe spiegare l'analogia tra la formazione di una nevrosi e la formazione delle antiche civiltà, si potrebbe ammettere un'altra possibilità. Se infatti l'identità delle condizioni psichiche deve condurre a identici risultati, queste particolari condizioni determinerebbero la regressione. Quindi le pratiche magiche che governano il mondo dei primitivi, corrispondono, nella nevrosi ossessiva, all'onnipotenza del pensiero. Alcune attività associative si dimostrano permeate da ogni genere di magia, e quando esse si verificano in un essere umano, questi è portato ad alimentare le stesse superstizioni dei suoi antenati. L'ipotesi di una serie di elementi mnemonici innati di natura filogenetica, non è giustificata quando possiamo spiegarli attraverso una analisi delle situazioni psichiche, ma ciò che rimane dopo questa analisi dei fenomeni psichici della regressione potrebbe definirsi memoria filogenetica.» Quattro anni più tardi in una circostanza simile Freud chiarì definitivamente il suo pensiero :

«Non ho mai pensato che le fantasie come tali possano essere ereditate.» D'altra parte Freud era convinto che certe fantasie primitive, soprattutto quella del coito e della castrazione, venissero ereditate in una forma o nell'altra, in particolar modo come predisposizione a manifestarsi in situazioni opportune. Nella discussione del caso Schreber (1911) scrisse: «Si dovrà presto arrivare a quella conclusione che noi psicoanalisti da tempo affermiamo, e aggiungere, al contenuto ontogenetico individuale, un contenuto di carattere filogenetico e antropologico. Nei sogni e nelle manifestazioni nevrotiche, si ritrova sempre il fanciullo con tutte le particolari caratteristiche del suo modo di pensare e di sentire. Ora noi possiamo aggiungere che vi si ritrova anche l'uomo primitivo e selvaggio, così come ci è stato rivelato dagli studi archeologici ed etiologici.» Un'affermazione ancora più chiara si trova nelle Lezioni introduttive, del 1916: «Questo aspetto filogenetico dell'uomo viene parzialmente oscurato dal fatto che ciò che di fondamentale egli eredita viene tuttavia riacquisito individualmente, forse perché le stesse condizioni che originariamente lo portarono a questa acquisizione sussistono ancora ed esercitano la loro influenza su ciascun individuo. Io direi che laddove, in origine, esse determinano una nuova risposta, ora determinano una predisposizione.»

I seguaci di Jung hanno sostenuto che Freud derivò dal loro maestro l'idea delle immagini mentali innate ed ereditarie. Nessuno dei due può aspirare alla priorità di una nozione così elementare, ma, come Edward dover ha diffusamente mostrato, vi è un'enorme differenza tra il concetto freudiano dell'ereditarietà di processi mentali specifici e limitati, legati a idee e situazioni concrete, e quello junghiano, più generico, di un inconscio collettivo ereditario pieno dei più complicati, astratti e spirituali archetipi. Negli ultimi anni della sua vita Freud divenne più sicuro, o meglio meno cauto, su questo argomento e su altri. Nel suo libro su Mosè spiegò la ragione per cui riteneva che il retaggio del passato consistesse in qualcosa di più delle semplici disposizioni mentali : «Infatti esso [il materiale] mi permette di andare oltre, e di asserire che questa ancestrale eredità del genere umano comprende non solo disposizioni ma anche contenuti ideativi, tracce mnemoniche delle esperienze di precedenti generazioni.» La parola «esperienze» introduce l'argomento del prossimo paragrafo.

La trasmissione delle caratteristiche acquisite

Come Freud stesso ebbe a dichiarare, lo studio dell'opera di Darwin sull'evoluzione era stato il motivo determinante della sua scelta di una carriera scientifica. Evidentemente si riferiva con ciò alla teoria generale dell'evoluzione, che Darwin aveva imposto grazie alle sue accurate indagini, e soprattutto al metodo con cui egli vi era giunto. È proprio questo metodo che costituisce l'essenza di ciò che è chiamato darwinismo, sebbene per il profano tale termine si identifichi con la dottrina stessa dell'evoluzione, che era stata promulgata nel diciottesimo secolo dal nonno di Darwin, Erasmo, dai francesi Buffon, Cuvier, Lamarck, St. Hilaire e da molti altri. In fondo le sue origini risalgono ai tempi dei Greci.

A questo punto ci troviamo di fronte ad un fatto che ci pone uno sconcertante problema circa lo sviluppo delle idee e persino della personalità di Freud. Le ricerche da me condotte negli scritti, nella corrispodenza e nei ricordi delle conversazioni avute con Freud, allo scopo di trovare qualche riferimento al darwinismo non sono state molto fruttuose, anche se sarebbe stato più opportuno limitarle ai soli riferimenti agli scritti sul primo sviluppo dell'uomo, cioè alla teoria della selezione naturale come modo attraverso il quale è avvenuta l'evoluzione. Un profano potrebbe quasi supporre che Freud fosse all'oscuro della teoria, ciò che è senz'altro da escludere : essendo un avidissimo lettore deve aver sicuramente letto un classico come L'origine della specie e probabilmente anche altri scritti di Darwin. L'unico libro di questo autore che egli possedeva era La discendenza dell'Uomo, ma negli Studi sull'isterismo si riferì in due occasioni a L'espressione delle emozioni nell'Uomo e negli Animali.-9 Sappiamo inoltre, da altri suoi riferimenti, che aveva letto le opere neodarwiniane di Weismann, Haeckel ed altri, che erano apparse verso il 1890 e che estendevano il darwinismo a conclusioni ben più ardite di quanto Darwin stesso avesse osato fare.

Prima di Darwin l'unica seria teoria sull'evoluzione che avesse raggiunto una certa notorietà era stata la dottrina di Lamarck sulla ereditarietà delle caratteristiche acquisite. Molto in breve, questa teoria sostiene che le esperienze che escono dll comune, e gli sforzi che gli animali impongono a qualche parte del loro corpo, modificherebbero le strutture somatiche in modo tale da trasmettere queste modificazioni alla discendenza. Questa a sua volta farà altri sforzi - l'esempio più comune è quello della giraffa che stira il collo per arrivare più in alto - e quindi il risultato finale sarà quello di una sommazione delle modificazioni nelle successive generazioni. Questa teoria è stata completamente ripudiata per più di cinquant'anni, e per dimostrarlo citerò un passo di Julian Huxley, che è certo la più alta autorità in proposito : «Con le conoscenze che si sono accumulate dall'epoca di Darwin a oggi non è più possibile credere che l'evoluzione avvenga attraverso la cosiddetta ereditarietà delle caratteristiche acquisite, cioè per effetto diretto, sugli organi, dell'uso, del disuso o di modificazione dell'ambiente... Tutte le teorie fiorite alla luce della biogenesi e del lamarckismo non sono più ritenute valide... Esse non riposano più sui fatti e, sulla base delle scoperte moderne, non meritano più di essere chiamate teorie scientifiche, ma devono essere considerate mere speculazioni prive della necessaria base realistica, oppure come antiche superstizioni camuffate in veste moderna. Erano abbastanza naturali al loro tempo quando ignoravano ancora il meccanismo dell'eredità, ma ora non presentano più che un interesse storico.»

Nonostante una serie innumerevole di critiche come queste Freud restò, dal principio alla fine della sua vita, un ostinato fautore di questo screditato lamarckismo, e sempre più egli conservò nella sua mente, o esplicitamente affermò nei suoi scritti, la sua profonda fede in esso. Mi sia concesso di portare qui almeno due esempi che si riferiscono, rispettivamente, all'inizio e all'ultima fase della sua carriera. Il primo è del 1893. Si tratta del dilemma davanti al quale è venuta a trovarsi la società non potendo contare su adatti ed efficaci mezzi anticoncezionali. Le «nevrosi attuali» che si osservano come risultato delle pratiche sessuali alle quali la gente è costretta a ricorrere, vengono definite da Freud «nevrosi incurabili», non suscettibili di essere sottoposte con successo alla psicoterapia. «In mancanza di tale soluzione, la società sembra destinata a cader vittima di nevrosi incurabili che riducono la gioia della vita ad un livello minimo, distruggono i matrimoni e, attraverso le leggi dell'ereditarietà, porteranno alla rovina le future generazioni.»

L'altra citazione appartiene all'ultimo libro scritto da Freud, Mosè e il monoteismo, edito nel 1939.32 In questa opera egli afferma che l'eccessivo senso di colpa del quale sono infiltrate sia la storia che la religione del popolo ebraico, e che per reazione spinge gli Ebrei a crearsi alti ideali etici, è stato ereditato attraverso l'inconscio ricordo dei loro antenati i quali, in un atto di ribellione, avevano trucidato il padre della loro razza, Mosè. Questo, afferma Freud, è una chiara riprova di un processo universale. Il complesso di colpa inerente ai casi di parricidio, frequenti nella preistoria, è stato ereditato (esso corrisponde al «peccato originale» dei teologi) e si rinnova continuamente in ciascuna generazione attraverso l'avverarsi di analoghe situazioni di gelosia. Ne consegue che l'atteggiamento cosciente dell'uomo primitivo lo atterrì a tal punto da riflettersi sul suo corpo, producendo, forse per mezzo delle «gemmule» di Darwin, analoghe modificazioni sui suoi tubuli seminiferi, per cui, - forse dopo molti anni -questi furono in grado di produrre spermatozoi modificati in modo da creare, quando si fossero uniti con un ovulo, un fanciullo che sarebbe stato afflitto dal ricordo della esperienza subita dal padre. Eppure Freud doveva essere al corrente dei probanti lavori di Weismann e di altri, i quali avevano sicuramente mostrato come le cellule germinali sono del tutto immuni dalle influenze di qualunque cambiamento che sia intervenuto nel corpo. Per qualche ragione egli aveva quindi volutamente ignorato tali lavori.

Al principio della guerra 1914-1918, durante una visita di Freud a suo padre, in Ungheria, egli discusse con Ferenczi il progetto di scrivere insieme un'opera sui rapporti fra lamarckismo e psicoanalisi. Poi, invece, sorsero altre preoccupazioni e il progetto venne rimandato, ma alla fine del 1916, quando, con l'interruzione dell'attività professionale ebbe maggior tempo libero a sua disposizione, Freud ritornò sul primitivo progetto di lavoro e chiese a Ferenczi una conferma dei loro accordi. Ordinò anche, alla biblioteca dell'Università, una serie di libri su questo argomento, ed ebbe a dire che intravedeva già un certo numero di idee piene di promesse, della cui verità era convinto. Ferenczi si disse d'accordo, per quanto senza entusiasmo, e così Freud gli inviò subito^un abbozzo del proprio lavoro, scrivendogli al tempo stesso che stava leggendo la Filosofia zoologica di Lamarck. Il piano di lavoro stabiliva che ciascuno di loro avrebbe dovuto leggere un certo numero di libri e prendere appunti : poi ognuno avrebbe scritto per suo conto un abbozzo dell'opera, ed infine si sarebbero incontrati per discutere insieme e confrontare il lavoro svolto separatamente. Freud affermò di condividere le idee degli psicologi lamarckiani come Pauly, e aggiunse che valeva comunque la pena di lasciare un biglietto da visita ai biologi che si erano interessati al problema. Poi, però, riprese la sua pratica professionale e rimandò il lavoro all'estate. In estate disse che non pensava di applicarvisi durante le vacanze e che preferiva lasciare a Ferenczi l'intero compito. Il suo interesse insomma era evidentemente svanito, eppure gli era rimasto in mente qualcosa, perché in ottobre chiese ad Abraham se gli avesse mai parlato di questo progetto : «La sua essenza è che una volta l'onnipotenza del pensiero fosse una realtà.» Avendo ricevuto da Abraham una risposta negativa, Freud gli disse : «Il nostro proposito è quello di far coincidere completamente le idee di Lamarck con le nostre teorie, e di mostrare che il suo concetto di una "necessità" che crea e modifica gli organi non è altro che la forza che le idee inconsce hanno sul corpo umano, cioè non è altro che "l'onnipotenza del pensiero". Di tale forza noi vediamo le estreme conseguenze nell'isterismo. L'adattamento verrà d'ora in avanti spiegato psicoanaliticamente, esso diverrà il coronamento della psicoanalisi. Due princìpi fondamentali emergeranno, a proposito di questa evoluzione : il primo è basato sull'adattamento al quale va incontro il nostro corpo, mentre l'altro riposa sul cambiamento del mondo esterno (principio autoplastico ed eteroplastico).» In altre parole Freud pone l'identità della «necessità» insita nella sostanza animale con la volontà di potenza di Schopenhauer, vale a dire con l'onnipotenza psicoanalitica del pensiero. È ciò che consente all'animale di effettuare gli adattamenti, siano essi quelli del proprio corpo, siano quelli del mondo circostante, e che dovrebbe portare alla soddisfazione della «necessità».

Freud avrebbe dovuto accorgersi che a questo punto stava gettando le basi di un grande disegno biologico, ma esitò di fronte al pericolo di addentrarsi in campi a lui estranei. Infatti poco dopo scrisse a Ferenczi che non riusciva a decidere se dovesse proseguire il lavoro su Lamarck, e che probabilmente nessuno di loro due lo avrebbe condotto a termine. Così non se ne fece più nulla.

Tuttavia, come abbiamo già detto, Freud non perdette mai la fede nel suo incrollabile convincimento della ereditarietà dei caratteri acquisiti. Quanto fosse irremovibile su questo punto, ebbi modo di constatarlo durante un colloquio che ebbi con lui nell'ultimo anno della sua vita, a proposito di un passo del libro su Mosè, che avrei desiderato fargli modificare. In questa pubblicazione egli considerava infatti le idee lamarckiane in termini universali. Naturalmente gli dissi che aveva tutto il diritto di ritenere valide le proprie convinzioni nel campo specifico della psicologia, anche se esse potevano cozzare contro tutti i princìpi della biologia, ma lo pregai di omettere quel punto nel quale egli applicava il lamarckismo a tutto il campo dell'evoluzione biologica, giacché nessun biologo degno di tal nome avrebbe potuto ammettere una simile concezione. Egli, però, mi rispose che gli era impossibile addivenire a questa ritrattazione, dicendomi : «fi vero che questo stato di cose è reso di interpretazione ancora più difficile dalle attuali condizioni della scienza biologica, la quale ripudia come falsa l'idea che i caratteri acquisiti possano essere trasmessi ai discendenti, ma io devo ammettere, in tutta modestia, che ciononostante non posso descrivere lo sviluppo biologico senza tener conto di questo fattore.»

Non è facile farsi una ragione della fermezza con la quale Freud sostenne queste idee, e della ostinazione con la quale egli ignorò ogni prova biologica in senso contrario. Abbiamo visto che egli associava tali idee all'onnipotenza del pensiero, scoperta che lo aveva colpito profondamente, ed anzi sembra quasi che egli fosse partecipe di tale_ onnipotenza quando pervenne al lamarckismo, ma in realtà aveva sostenuto le concezioni lamar-ckiane molti anni prima di giungere, nel 1908, al concetto di onnipotenza. Evidentemente era rimasto profondamente impressionato dal modo in cui le forti esperienze emotive possono venire incorporate in maniera tale da alterare permanentemente una personalità, ma questo non significa che anche i figli delle persone interessate ne siano coinvolte. Era forse un segno incancellabile lasciato nella sua mente durante l'infanzia dall'apprendere che Iddio fa ricadere l'iniquità dei padri sopra i figli, fino alla terza e quarta generazione? Infatti, secondo lui, era soprattutto il senso di paura e di colpa che veniva trasmesso in questa fatale maniera.

Qualunque cosa pensiamo in proposito non vi può essere dubbio che le conclusioni generali circa l'ereditarietà dei processi mentali sono d'importanza fondamentale, e, se ulteriori prove verranno portate in favore dell'ereditarietà di alcune immagini elementari, è probabile che ciò possa venire spiegato sulla scorta delle concezioni darwiniane, vale a dire a mezzo della selezione naturale. Mi vien^in mente, a questo riguardo, un passo di un recente saggio di uno scrittore di cose scientifiche : «Non è mai saggio negare agli uomini di genio l'uso di un qualunque metodo che possa guidare la loro intuizione. Essi, in genere, possono servirsene, nel cammino verso la verità anche se, per la scarsa familiarietà con tali procedimenti, possono dare una ragione errata delle loro scoperte.» In complesso possiamo quindi affermare che il contributo di Freud alla biologia, per quanto sia da ritenersi più accidentale che intenzionale, sarà di valore sempre maggiore in avvenire.